Articolo pubblicato da Juliet Art Magazine.
I contesti, anche se astratti, risultano essere una ricca fonte di sostanza e contenuti. Se di sostanza e contenuti possiamo parlare, è doveroso ricordare che in questo periodo, presso la sala Saint-Jean dell’Hôtel De Ville di Parigi, è in esposizione fino al 29 marzo 2014, la vita artistica e intellettuale di Brassai. “Pour l’amour de Paris” è il titolo non solo romantico e passionale ma simbolo di una ricerca profonda, capace di mettere in campo un alto livello di straniamento dovuto alla veridicità degli eventi e dei soggetti che vivono, senza alcun filtro, negli scatti del fotografo Ungherese.
Brassai, Autoritratto. (L’occhio tecnologico di grado zero)
Gyula Halász nasce nel 1899 a Brasso, cittadina ungherese: da qui il suo pseudonimo che lo renderà noto ai più come Brassai. Trasferitosi a Parigi nel 1924 il fotografo entra abbraccia l’area surrealista. L’amore che Brassai ha per la capitale francese si conferma in ogni singolo scatto fotografico, a partire dal periodo proustiano fino a quello notturno, che mette in scena la vita segreta e privata dei parigini. Ma che cos’è la normalità? Per Brassai la normalità sta in uno o più soggetti, immersi nella realtà quotidiana, che tutti condividiamo. Il termine corretto che risulta quindi da questa vasta serie di scatti ci riporta al Grado Zero della fotografia, a quella sfera del così com’è, del tale e quale.
Brassai- Washing in brothel, Paris (1932)
Nessuna maschera né sintomatica finzione è ciò che propone un altro fotografo, contemporaneo di Brassai solo per pochi anni (Brassai muore infatti nel 1984). Stiamo parlando di Alexander Gronsky classe 1980, nato a Tallin in Estonia, esposto presso la Polka Gallery di Parigi fino al 15 Marzo. Sia Brassai che Gronsky provengono dall’est-Europa, ed entrambi nello stesso periodo sono esposti nella capitale francese. Il loro modo di operare attraverso il mezzo fotografico non lascia a fraintendimenti, ciò che si vede, è ciò che è. Un incrocio di destini se pensiamo che quasi un secolo divide i due fotografi. Cosa accomuna i due nonostante il grande lasso di tempo delle rispettive nascite? Tenendo presente la specificità dei lavori di Brassai, Alexander Gronsky mette in “scena” una potente lente d’ingrandimento sulla vita quotidiana, andando a recuperare lo stesso grado zero del collega, con l’unica differenza che mentre Brassai negli anni ’30, era costretto al bianco e nero, Gronsky opta per un cromatismo quasi aureo.
Gronsky- Otradnoye I, 2009
In Pastoral, questo è il titolo della serie, il giovane fotografo estone ci mostra la sua terra, attraverso alcuni scatti di estrema sintesi del linguaggi, e quasi non riusciamo a distinguere l’immagine fotografica dalla realtà. I due fotografi hanno saputo bene combattere la finzione che di solito si attribuisce a un’immagine fotografica, intensa come altro da sé. Nel two from Grand Albert’s gang del 1931-32 di Brassai, le due figure sembrano rifiutare qualsiasi posa da studio fotografico, e lo stesso Brassai sembra aver colto l’istante dell’azione nel suo accadimento – come se stessero per affrontarsi due bande rivali, e mentre la figura intera guarda oltre, quella accanto ci tiene d’occhio. Che cosa sta accadendo? Il confine tra realtà e finzione è sottile. Che cosa stanno guardando i due soggetti? Stanno osservando Otradnoye I, 2009 di Gronsky, grado zero all’ennesima potenza; cosa c’è di meglio nel prendere un po’ di sole in un metro quadro di verde a ridosso di una serie di palazzi? Da una parte all’altra sembra esserci una vera e propria lotta a chi riesce per primo a fornirci prova, con il proprio occhio tecnologico, di una “meglio realtà”, nonostante operino entrambi in contesti ambientali e generazionali diversi fra loro. Ma come disse Brassai “la fotografia deve suggerire, non insistere o spiegare”, non possiamo negare che sia così anche per il fotografo estone che ci suggerisce come non ci sia niente da spiegare, ma basti solo guardare ciò che la realtà ci presenta nella sua essenza.
Gronsky- Novye Mytishchi I (2010)
Gronsky lo sa bene, e lo ribadisce in Novye Mytishchi I del 2010 o in Mar’ino I del 2009. La forza di queste immagini risiede proprio in un forte richiamo alla sfera primordiale, nel rifiuto alla cementificazione che pressa la vita umana e animale. Lo stesso Brassai nella sua lunga serie non mente, anzi la dice tutta sui segreti di una Parigi notturna, dove personaggi borderline “sfondano” la soglia dell’obiettivo, per emergere e mostrare l’alta vitalità di cui la capitale francese è capace, in tutto e per tutto. La coppia Brassai-Gronsky si è affrontata nella ricerca fotografica come su un ring, senza esclusione di colpi per un obiettivo comune, ovvero il massimo grado zero di una fotografia iperrealistica. Dunque è il caso di dirlo, due generazioni che si sono incrociate, mai incontrate, due generazioni di grado zero.
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Giovanni Barbera